Un mercoledì sera qualunque, in un’insolita settimana di luglio, tormentata dal maltempo, accadde che i personaggi più noti del cristianesimo, e prestati alla letteratura d’ingegno presero vita. Il Pilato di Bulgakov aspettava là, su un palcoscenico speciale, insieme all’umile condannato Yehosua Ha-Nozri.
Era il 22 di luglio, e il palcoscenico del Lazzaretto di Bergamo era sistemato accanto all’uscita del gigantesco cortile. Un luogo unico.
A dispetto della sua lunga tormentata vita, è fra le strutture più innovative della città. Dopo essersi riabilitato alla fine degli anni sessanta da “luogo della peste” a centro d’aggregazione e intrattenimento; in questa difficile estate, si riscopre come strumento di rinascita dell’arte, dopo la lunga pausa imposta per lo scoppio della covid-19.
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Il Pilato di Bulgakov prende vita
Io non so dire quanto le sensazioni personali influenzino il giudizio, non so dire se, a volte, le circostanze possono giocare a favore di uno spettacolo, oppure se possono inficiarne la percezione, fatto sta che, quella serata dal tempo incerto ha attribuito una sfumatura a ciò che stava accadendo sulla scena.
Pilato mi aspettava, si stava preparando a prendere vita sul palco, mentre io e gli altri spettatori ci preparavamo a sfidare la pioggia che sembrava minacciare una scesa imminente in un cielo già nuvoloso.
Non conta la doverosa introduzione al cartellone della stagione o il dilungarsi fra le presentazioni dei coordinatori della rassegna Lazzaretto on stage; i personaggi sembravano essere già sul palco con le loro sofferenze, le loro angosce, i loro dubbi insidiosi. Aspettavano solo di manifestarsi al pubblico.
Il portavoce del procuratore Pilato, di Yehosua Ha-Nozri, e dell’implacabile sacerdote Caifa era un attore noto al pubblico del cinema italiano, ma che aveva già maneggiato per la radio ( per Ad alta voce- Radio 3) la versione integrale del romanzo Il maestro e Margherita di Bulgakov, da cui è tratto questo Pilato.
Fino a quel momento, io avevo aprezzato Massimo Popolizio solo per i suoi ruoli cinematografici, ma non avevo mai avuto l’occasione di vederlo on stage.
È stata l’occasione per vedere un attore farsi strumento di un testo. La riscrittura e la lettura interpretata di Popolizio creavano una dinamica visiva e reale; la quale regalava vita al testo imponente di Bulgakov.
Gli artefici della scena
Le parole di Massimo Popolizio iniziavano ad emergere dall’ombra della scena, descrivendo l’entrata del procuratore pilato; un’entrata che Bulgakov si preoccupa di descrivere ai lettori con particolari minuziosi, ma che sulla scena del “maestro Popolizio” venivano scelti con cura, per valorizzare al massimo livello la descrizione in soggettiva già presente nel lavoro dell’autore russo:
[…] (Il procuratore P.) È seguito passo dopo passo, come se avesse una steadicam sulle spalle …
M. Popolizio -da Popolizio al Lazzaretto – Il corriere.it
E per rendere la tridimensionalità del racconto, per arrotondare i contorni dei personaggi, permettendo allo spettatore di penetrare fino infondo nell’atmosfera di quell’ epoca, parte del patrimonio culturale di ogni cristiano, Popolizio aveva voluto la partecipazione di un suono evocativo. Il suono della musica ebraico – sefardita.
Composizioni nuovissime, ma evocatrici della tradizione, si propagavano sulla platea a cielo aperto e raccontavano ciò che le parole non potevano descrivere.
Canti, suoni, lamenti e gemiti provenivano dalla bella voce della cantante Barbara Eramo, composte insieme al polistrumentista Stefano Saletti.
Le parole di Bulgakov in soggettiva 3D
Pilato fece la sua entrata. E il pubblico seduto nella platea all’aperto, sotto il cielo nuvoloso di Bergamo, poteva vederlo, avvolto nel mantello, con il viso corrucciato e sofferente per il mal di testa martellante.
Potevamo vedere i suoi occhi chiusi per il dolore, la sua testa infossata sulle spalle, percepire la sua insofferenza ad affrontare un caso lungo e difficile come quello di Yehosua Ha-Nozri, mentre la testa gli pesava.
Le sensazioni del procuratore si arrotondavano al punto tale che io stessa le sentivo addosso, e potevo quasi scorgere con gli occhi di Pilato il viso docile dell’umile condannato, con la faccia pesta e i sandali scalcagnati.
Potevo udire la sua voce flebile, ma sicura. Una figura delicata e fragile, “un puro” agli occhi del procuratore. Questo è il Cristo descritto da Michael Bulgakov e incarnato nelle parole di Popolizio, quella sera.
Il dialogo fra il Potere e la giustizia
La forza del testo di Bulgakov sta nella descrizione della forza vera di Cristo, manifestata sotto la purezza, e contrapposta alla debolezza di un Pilato vacillante, che si interroga continuamente sul suo operato, ma che con il suo mal di testa, simbolo di un potere troppo pesante per lui, non riesce ad ascoltare fino in fondo il condannato. Pilato non riesce a decidere.
Vorrebbe conoscere il passato di quello sconosciuto, che per un attimo lo ha liberato dal mal di testa atroce; lo vorrebbe esiliato al confine del territorio in cui vive lui stesso, e non accetta la decisione di condanna dal Sinedrio.
Il tormento di Pilato dalla voce di Popolizio
Io, quel mercoledì sera, ho potuto assistere da vicino alla indomabile angoscia del procuratore; l’ho visto perdere la ragione e la calma di fronte al vile e interessato sacerdote Caifa.
Ho visto quando, sperduto e confuso, ha guardato la folla rumorosa, di un rumore sordo, volutamente spezzato nell’interpretazione di Popolizio. Attutito dalla confusione mentale del procuratore, incapace di rassegnarsi nel vedere il condannato allontanarsi verso l’esecuzione.
Ho sentito i gemiti e i lamenti delle donne, ho udito il canto ebraico straziante. Un canto che, forse, solo il procuratore romano poteva sentire, nella sua angoscia, nel suo eterno dubbio che, nella versione del romanzo originale, lo vedrà vagare nel limbo senza pace.
La bellezza di questa riscrittura per il teatro si basa sulla forza della sottrazione, esaltando con pochi semplici elementi gli scorci visivi già presenti nel testo originale.
Popolizio taglia pochissimo e mantiene salda la struttura di Bulgakov, la sua versione si concentra tutta sulle sensazioni interiori del procuratore romano, sui suoi dubbi, sul suo dolore fisico e sull’introspezione psicologica del personaggio.
Esalta maggiormente il potente contrasto fra giustizia, verità, servilismo e potere. Indaga sulla verità dei fatti e sulla mistificazione attraverso la divulgazione popolare.
La sera del mercoledì 22 luglio ho avuto l’occasione di riflettere sulla possibilità di scegliere, sul valore di non avere le mani legate, sulla bellezza di essere libera cittadina senza potere. Sul valore di non dovermi pentire perché nelle mie piccole mani è stata messa la responsabilità della vita di altri.
Da: “Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov,
Con:
- Massimo Popolizio,
- Stefano Saletti (bouzouki)
- Barbara Eramo (vocalist).
In collaborazione con: DeSidera Teatro – Teatro De Gli Incamminati
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