Ultimamente ho letto Delitto e Castigo di Dostoevskij, un romanzo che conoscevo ma che solo adesso ho voluto indagare più affondo. Al di là della capacità innata dell’autore di scavare nella psiche dei suoi protagonisti, portando alla luce anche gli istinti più abietti della sfera umana, lo stile fresco e il linguaggio moderno – per nulla scontato per essere un romanzo scritto 1866- mi ha incuriosito, in questo libro, un aspetto apparentemente più marginale che riguarda le donne d Dostoevskij. È una caratteristica che si ripete nei personaggi femminili più rilevanti del romanzo: gli occhi buoni.
Gli occhi buoni delle donne di Dostoevskij: idealizzazione o tratto distintivo?
Da Lizaveta – la povera sorella dell’usuraia assassinata da Raskolnikov – alla sorella di questo, Dunja, a sua madre, all’amata Sonja, tutte queste donne sono descritte e immaginate con connotati fisici molto diversi fra loro, ma tutte hanno un unico tratto comune: gli occhi buoni.
Non gli occhi belli, seducenti, maliziosi, vivaci, languidi; tutte hanno uno sguardo buono, con una luce tale che suscita un sentimento d’attrazione negli uomini. Questo approccio al personaggio femminile mi ha fatto riflettere come donna moderna, attenta alle descrizioni delle donne nella letteratura, ma anche nel mainstream della cultura pop contemporanea.
Perché gli occhi buoni?
In primis mi sono chiesta perché mi sembrava un po’ insolito questo dettaglio e, in particolare, se dovessi associare “l’occhio buono” all’ideale della donna angelicata, tipico di certa letteratura: dall’amor cortese, al romanticismo, trasmesso – in maniera più svilita -anche in certi romance contemporanei.
Tuttavia, questa caratteristica non è presente in tutte le donne del libro, ma soprattutto nei personaggi che vengono descritte come “attraenti” . Il primo impulso che può saltare alla testa di una donna progressista è se l’accostamento degli aggettivi: buona + attraente sia proprio la conferma di una delle tipiche rappresentazioni della donna, corrispondenti a uno dei due grandi archetipi femminili, ossia, la donna angelo, ma c’è qualcosa di più profondo.
La rappresentazione della donna buona in letteratura
Se pensiamo all’amor cortese, alle donne romantiche e perfino alle donne “buone” di molta letteratura coeva, il loro essere buone e piacenti corrisponde sempre all’idea di venerazione della donna, come oggetto da adorare, per qualità non solo morali – al di sopra d ogni giudizio- ma anche estetiche, in quanto se sono “piacenti”, sono necessariamente belle, delicate o comunque nell’insieme corrispondono ai canoni estetici vigenti all’epoca dei loro autori.
Qui viene la piccola- grande rivoluzione di Dostoevskij, il quale pur scrivendo nel 1866 – in un’epoca fortemente patriarcale e circondato da romanzi e opere letterarie dove le donne corrispondono sempre a determinati canoni estetici e comportamentali – i personaggi femminili di Delitto e Castigo sono “buoni” sì, ma non al di sopra di ogni peccato; “piacenti “, sì, ma non belli e sublimi. Sono donne con dei difetti fisici e un concetto di bontà, che non ha niente a che vedere con la moralità perbenista dell’epoca.
Le donne di Dostoevskij
Lizaveta
La prima donna a possedere queste caratteristiche è Lizaveta, la sorella ebete della vecchia usuraia. Viene descritta come troppo alta, con la pelle scura da sembrare “un soldato vestito da donna”, tutta sgraziata e con i “piedi rivolti all’infuori”; ma ha due caratteristiche che seducono gli uomini: il sorriso bello e gli occhi buoni. E’ docile e mite, sempre disponibile ad aiutare gli altri.
Dunja
La seconda donna del romanzo a possedere la caratteristica degli occhi buoni è Dunja, sorella di Raskolniov. La giovane è l’unica ad essere descritta usando espressioni di grazia e bellezza, ma il suo vero fascino deriva dalla sua forza d’animo e dalla sua dignità. Anche Dunja ha un carattere nobile, volto al sacrificio, così da attrarre Vrazumichin, l’amico di Rodion Romanovich, che resta incantato proprio dai suoi occhi “lucenti, fieri e a tratti, insolitamente buoni” e dal suo sguardo quieto.
Nonostante Dostoevskij ci dica che ” la si poteva definire una bellezza”, Dunja non è dispensata dall’imperfezione estetica; caratteristica che le conferisce un aspetto realistico e non idealizzato: “La bocca era un po’ piccola, il labbro inferiore, fresco e rosso vivo, sporgeva appena in avanti, come pure il mento, unica irregolarità in quel volto stupendo.”
Dostoevskij si sforzava di osservare la natura umana nei suoi pregi e nei suoi difetti, sia interiori, che esteriori; sapeva che l’imperfezione è insita nell’uomo, come nella natura e nelle cose, pertanto neanche i personaggi femminili sono risparmiati. Essi rompono i soliti stilemi di rappresentazione per assomigliare alle donne vive, di carne e di sangue.
Ricordiamo che Dostoevskij considerava la natura umana in tutto il suo essere; uno dei suoi motti ricorrenti era: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto“
La ragazza malata
La terza donna “buona” è molto marginale, ma diventa importante per comprendere la psiche di Rodion Romanovich Raskolnikov. Si tratta della figlia morta della padrona di casa di Raskolnikov, promessa a lui, ma poi deceduta a causa di una malattia. La ragazza viene descritta dallo stesso Raskolnikov, ricordandola durante un colloquio con la madre: “Era così bruttina”- ricorda – davvero non so, allora, perché mi fossi legato a lei. Voleva donare ai poveri.”
Sonja
La quarta donna con “occhi buoni e miti” è, infine, Sonja, la più importante nella vita di Rodion Romanovich e per questo il suo ruolo assume anche significati simbolici nell’intero romanzo. Sonja è la figlia di un vecchio funzionario caduto in miseria perché dipendente dall’alchol, un personaggio che si accosta spontaneamente a Raskolnikov e si apre con lui, raccontandogli la sua vita disgraziata, senza risparmiare la prostituzione della figlia, sulla quale grava il mantenimento dell’inetra famiglia. La giovane entra così, prima indirettamente nella coscienza del protagonista e poi direttamente alla morte del padre di lei.
Sonja ” non si poteva nemmeno definire carina” , aveva il viso piccolo, magro con il mento aguzzo e i lineamenti irregolari, “era piccola d’altezza” e aveva un fisico minuto, troppo magro, “mingherlino”, come dirà, poi, Luzin, ex fidanzato di Dunja. Sonja però ha gli occhi buoni, uno sguardo mite, che attrae inevitabilmente Raskolnikov :
“i suoi occhi azzurri erano così luminosi, e quando si ravvivavano l’espressione del suo viso diventava così buona e ingenua, che senza volerlo ci si sentiva attratti verso di lei.”
I valori simbolici degli occhi buoni
In Delitto e Castigo le donne dagli occhi buoni hanno un valore profondamente simbolico. Alla donna è assegnata la forza morale, la virtù e la ragione. Gli occhi buoni rappresentano il bene verso cui una parte di noi è inevitabilmente attratta, in contrasto con il male, la parte che l’uomo (in senso lato, rappresentato da Raskolnikov) tenta di sopprimere, ma che troppo spesso viene scambiato per il mezzo con cui raggiungere la propria libertà e il superamento dei propri limiti.
Raskolnikov e le relazioni con le donne buone
Delitto e Castigo è stato scritto nel 1866, in una Russia, nella quale la religione predominava nella vita delle persone. Il bene quindi è identificato con i precetti religiosi e la fede. Dostoevskij indaga nella psiche umana, creando un personaggio (Raskolnikov) che si pone dei quesiti, non si accontenta dei precetti, ma ha bisogno di conoscere dove è disposto a spingersi senza sentire il rimorso della colpa. Attraverso l’omicidio Raskolnikov vuole raggiungere una sua libertà interiore, uccidere, per lui, equivale a superare i propri limiti umani, le proprie debolezze e quindi liberarsi delle proprie sofferenze.
Analizzare nel profondo il personaggio occuperebbe troppo spazio, tuttavia, bisogna dire che Dostoevskij si preoccupa di costruirgli una personalità coerente. La sua psicologia matura in uno stato di profonda crisi, dettata da una serie di fattori: indigenza, odio verso le ingiustizie e intolleranza nelle differenze sociali.
L’autore ci descrive Raskolnikov come un giovane debole, solo e incapace di integrarsi nella società che lo circonda. Forse proprio per la sua sensibilità eccessiva, indice della sua debolezza (i suoi limiti umani). Da piccolo R. piangeva ogni volta che vedeva picchiare una cavalla rozza dai contadini, tanto che la madre doveva allontanarlo dalla finestra. Questo particolare viene raccontato in un sogno del personaggio, nel quale si descrivono sentimenti di estrema sofferenza e orrore per l’abuso verso un essere debole e indifeso. L’omicidio, per Raskolnikov, è quindi una via per elevarsi, imparare a liberarsi del dolore e raggiungere uno stato di superiorità umana.
La visione del personaggio è chiaramente un delirio di onnipotenza, un tratto della sua personalità scismatica che si deve per forza scontrare con l’altra parte di sé, del quale non è riuscito a liberarsi.
È proprio questa parte di sé che lo attrae verso Sonja, fervida credente, custode della fede e guida alla redenzione.
Sof’ja Semënovna: non solo un simbolo di fede
Spogliato dai suoi simboli religiosi, il personaggio di Sof’ja Semënovna è soprattutto una vittima, una giovane ragazza caduta in miseria a causa delle debolezze del padre. Una ragazzina umile e timida, che non ha niente a che vedere con la divinizzazione della figura femminile, né con la femmina ammaliatrice, tipica di moltissimi romanzi dell’epoca e ancora in auge nella letteratura contemporanea. Dostoevskij descrive Sonja come una donna fra tante, che pecca perché costretta a farlo dalla sua miseria, una giovane ancora non corrotta dal degrado della sua condizione, ancora capace di provare amore e pietà per il prossimo.
La prostituzione non rappresenta per Sonja uno stile di vita nel quale si rispecchia e non solo perché non è stata lei ad averlo scelto o per via della sua morale da credente. Dostoevskij non tralascia il tema religioso, a lui caro, ma parlando di Sonja ci dice di più: la ragazza soffre perché sa che non avrà più futuro, che le sue speranze e i suoi sogni sono interrotti per sempre.
“Quella sorta d’istruzione e tutta la sua vita precedente avrebbero potuto ucciderla subito fin dal primo passo di quella vita ripugnante”
La sua condizione non la getta solamente nel peccato, ma la condanna ad una vita di umiliazioni e sofferenze. Eppure, accetta il suo destino perché sa che è l’unico mezzo per procurare i mezzi di sopravvivenza alla sua famiglia. In questo senso Sonja non è distante dal sacrificio di molte donne povere che sacrificano la propria esistenza per la famiglia, sopprimendo ogni loro desiderio e aspirazione personale.
Il rapporto con Raskolnikov
Sonja seguirà Raskolnikov in Siberia per scontare la sua condanna. Indubbiamente, per Dostoevskij, la giovane prostituta, significava la via per l’espiazione attraverso la fede. Il mezzo di R. per purificarsi dal male, ma Sonja segue R. perché è sola al mondo; non ha più nessuno, e lui è stato l’unico che l’ha resa parte della sua vita, confidandogli il suo peccato: ” io ti ho scelta”.
Entrambi vedono l’uno nell’altra (e viceversa) la possibilità di costruirsi un futuro insieme, libero dal loro pesante passato.
Anche lei per tutta la giornata fu molto agitata […] Ma era a tal punto felice che quasi aveva paura della propria felicità. […]All’inizio della loro felicità, in quei primi momenti, erano entrambi pronti a considerare quei sette anni come sette giorni.
Il ruolo di Dunja
Dunja, la sorella di Raskolnikov è agli antipodi di Sonja: è bella e virtuosa, rifiuta fino all’ultimo le insistenti avances del suo ex datore di lavoro Svidrigajlov, rischiando perfino di macchiarsi d’assassinio nei suoi confronti. Tuttavia Dunja si sacrifica per la famiglia, proprio come Sonja: è pronta a sposare Luzin senza amarlo, pur di favorire la carriera del fratello.
Dunja, però, è anche umana non accetta di darsi al dissoluto Svidrigalov in cambio della salvezza di Raskolnikov. Pur amandolo moltissimo, non lo seguirà in Siberia e si creerà una vita sua con lo studente Vrazumichin.
Dunja è Sonja rappresentano la virtù e il peccato, ma spogliate dai loro simboli restano esseri umani alle prese con la vita.
I simboli della ragazza malata
A Dunja, Raskolnikov consegna l’imaginetta della sua ex fidanzata che teneva fra le pagine di un libro. Confessa alla sorella che alla ragazza malata aveva sempre confidato la sua volontà di uccidere, con lei apriva il suo cuore, benché lei fosse contraria alle sue idee. Questa ragazza malata e bruttina rappresenta la sofferenza e la purezza, si può considerare forse un alter ego di Sonja e svela il lato nascosto del protagonista: la sua attrazione per la fede, il patimento e il suo amore verso gli ultimi. Di lei dice alla madre: “Se fosse stata gobba o zoppa l’avrei amata anche di più”.
Gli occhi buoni delle donne come caratterizzazione dei personaggi
Gli occhi buoni, quindi di queste donne sono ricchi di simboli come la fede, la virtù, la sofferenza e la pietà, ma sono anche il tratto distintivo di personaggi femminili diversi fra loro, che non corrispondono necessariamente ai canoni letterari dell’epoca. Non tutte possiedono bellezza e grazia ma tutte emanano un fascino personale, richiamato solo dai loro modi di essere e comportarsi. Se da un lato, quindi, a loro è affidata la razionalità e la forza morale, dall’altro, sono personaggi credibili per la società del tempo, lontani dai canoni stereotipati delle donne nella letteratura classica.
Dostoevskij costruisce i suoi personaggi femminili mantenendo la diversificazione dei tratti umani, una caratteristica che si ritrova in tutti i suoi personaggi, tratteggiati sempre con grande curiosità e necessaria sospensione del giudizio, caratteristica che rende la sua scrittura intramontabile, proprio perché vera e riadattabile nel tempo.
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