(Racconto Breve)
Tastò il vuoto e il panico la pervase. La sua mano, disorientata, si paralizzò penzolante nell’oscurità. Forse l’incapacità di percepire lo spazio l’aveva ingannata e il suo braccio si trovava nella direzione sbagliata. Non ricordava il momento preciso in cui si era messa a letto, ne cosa avesse fatto la sera, prima di coricarsi. Si era svegliata all’improvviso, circondata da quel buio profondo. Su ogni lato in cui posava lo sguardo vedeva solo uno spesso manto scuro. Provò, per un attimo, un senso di claustrofobia, ma poi si convinse di essere in camera sua e cercò di calmarsi. Nella stanza non filtravano spiragli di luce, perciò non si erano formate ombre. Solo nero profondo e un silenzio di tomba.
Si trovava sottoterra? Doveva dimostrare di essere viva!
Un urlo disperato si levò nell’aria. Poteva gridare, esternare urla agghiaccianti, spaventose, poteva respirare. Probabilmente, poteva anche alzarsi e uscire fuori da quel manto nero, che in fondo, non sapeva di terra.
Fece uno sforzo, ma la paura era talmente grande che non riuscì a muovere un muscolo. Eppure doveva affrontare quel nero profondo, doveva scoprire dove si trovava. Se era in camera sua doveva esserci una finestra. Ma perché non filtrava nemmeno un raggio di luce? Perché non c’era la penombra che plasmava la forma dei mobili e li trasformava nelle creature orrende che la spaventavano tanto la notte? Non sopportava più quell’oscurità. Tutto era terribilmente calmo e disorientante; aveva sempre avuto paura dei rumori la notte, ma in quel momento avrebbe voluto sentirne uno frastornante, vibrante, al limite della sopportazione, purché rompesse quel silenzio e le permettesse di capirne la provenienza; l’avrebbe aiutata ad orientarsi.
Tic! Un battito lieve e acuto interruppe quel silenzio tombale, sembrava una placca di metallo. Era stato un rumore breve e secco, ma le note alte che si erano liberate nella stanza indicavano che doveva trattarsi del rumore di un metallo, ma da dov’era provenuto? Chi l’aveva provocato?
Doveva cercare di comprenderne la sorgente. Se ad esempio si fosse trattato dello scatto della chiave in una toppa, avrebbe saputo dov’era la porta della stanza. Doveva essere provenuto dalla parte sinistra, quindi lei si trovava verso destra oppure al centro. Se si trovava al centro e la porta era a sinistra, allora la finestra doveva trovarsi verso destra! Ma poteva trovarsi anche di fronte a lei oppure nella parete dietro. Sempre che ci fosse una parete! Scoppiò a ridere nel rendersi conto di quanto fosse assurda tutta quella faccenda, le sarebbe bastato tirare fuori il braccio da quella coltre, che la copriva e tentare una seconda volta di tastare il suo comò, avrebbe immediatamente capito di trovarsi nella sua camera.
Si costrinse a riprovare una seconda volta. Era più rilassata! Quella risata le aveva attenuato la paura, adesso sapeva che avrebbe trovato il suo comodino, così tutta quella situazione sarebbe finita una volta per tutte! Proprio così. Avrebbe acceso l’interruttore della lampada e si sarebbe alzata, si sarebbe fatta una camomilla e si sarebbe calmata del tutto. Poi si sarebbe addormentata un’altra volta e avrebbe dormito beatamente fino alla mattina. E che splendida giornata avrebbe avuto! Si sarebbe dimenticata di quella notte infernale. Pensò a cosa avrebbe fatto e non le venne in mente niente. Che giornata aveva lei di solito? Un brivido le corse lungo la schiena e la mano che stava sfiorando la superficie della coltre si nascose di nuovo al suo interno, il braccio si allungò nuovamente sui fianchi. Provò un senso di vuoto dentro alla testa.
Dei passi. Qualcuno stava camminando dietro alla porta. Ma chi era sveglio a quell’ora di notte? Non riusciva a ricordare chi abitasse con lei. Forse era quella persona che aveva chiuso la porta dall’esterno e aveva fatto quel rumore metallico? Ma perché aveva chiuso, anziché entrare e parlarle?
Sentì il terrore pervadere il suo corpo per la seconda volta. La calma, il buio profondo. Lo stomaco le si strinse e una morsa le avvolse il cuore, che cercava di liberarsi, battendo come una furia, nel suo petto stanco. I passi. Un risolino si percepiva in lontananza. Era bloccata in quel letto, in quella stanza buia, senza sapere dove fosse, né chi altri abitasse con lei.
Si sentiva pesante, come se fosse immobilizzata, la paura si stava impadronendo nuovamente del suo corpo. Da quanto tempo si trovava in quella situazione? La notte sembrava non passare mai. Un tempo infinito che la faceva sentire fuori dal mondo reale, forse stava sognando, non era realtà quella. Credeva di essere sveglia, ma stava dormendo profondamente.
Sì, doveva essere così. Aveva sognato quel rumore e quel risolino, che non era famigliare, era di qualcuno che non conosceva. Dove si trovava? Era un sogno! Poteva essere solo un sogno da cui ancora non si era svegliata!
Tac! Un altro rumore, stavolta, però, era interno alla stanza. Era stato preceduto da un fruscio. Come se qualcosa avesse rotolato nella stanza e poi avesse colpito qualcos’altro. Le cose non rotolano da sole. Non era stato il vento, non sentiva freddo, la finestra doveva essere chiusa o forse non c’era nemmeno. Aveva sentito chiaramente il fruscio e poi il rumore, c’era qualcosa nella camera, qualcosa o qualcuno. Ma come poteva orientarsi in quel nero uniforme, senza nemmeno un filo di luce?
Non poteva starsene là immobile ad aspettare che quella cosa venisse verso di lei, doveva alzarsi subito, affrontare quel buio disorientante e trovare la porta, perché se quella cosa non l’aveva ancora aggredita era solo perché non era in grado di vedere in mancanza della luce, proprio come lei. La sola speranza che aveva, prima di essere raggiunta, era di trovare la porta senza fare alcun rumore. Ma dov’era la porta? Se la camera era la sua, doveva essere di fronte a lei. Appena entrati, il letto restava al centro della stanza, appoggiato alla parete opposta e sul lato sinistro c’era la finestra, ma se non si trattava della sua stanza poteva anche non esserci una porta e si sarebbe avventurata nell’ignoto.
Non restavano alternative, non riusciva più a sostenere quell’ansia divoratrice, voleva saltare via da quel materasso. Lo fece. Era in piedi, tutto era calmo, ma il buio le impediva di vedere. Il dubbio l’assalì: se avanzando avesse sfiorato qualcosa? Lui o lei o esso l’avrebbe trovata. Si obbligò a non respirare, restò immobile qualche secondo. Niente.
Fece un passo avanti, poi un altro e ad un tratto si ritrovò in corsa e sbatté violentemente su qualcosa, un oggetto che cadde facendo un rumore spaventoso. Era fregata, si era autodenunciata, ora sapeva dov’era. Cercò disperatamente la porta, ma c’era solo un’enorme parete che sembrava non voler finire, ma dov’era la maniglia? Perché non la trovava?
Si prese la testa fra le mani e la strinse, sentì un dolore ai lati e le dita le si inumidirono. Era sudata e accalorata. Doveva ritornare verso il letto, forse sarebbe stata più al sicuro. Arretrò nella stessa direzione da cui era venuta, s’inciampò sull’oggetto caduto a terra e perse l’equilibrio. Si rimise in piedi e tentò nuovamente di ritornare da dove era arrivata.
La camera sembrava non avere fine. Il vuoto. Dov’era il letto? Sembrava sparito. Cacciò un urlo e cadde a terra, stringendosi ancora la testa fra le mani, con le dita sempre più umide.
Si passò le mani sui fianchi e sentì i lembi della veste rinfrescarsi, come se si fossero impregnati del suo sudore, doveva essere questo che aveva sulle dita. Ora contava solo ritrovare l’orientamento, doveva trovare una fonte di luce. Probabilmente si trovava più vicina alla finestra. Si precipitò in avanti, con le mani tese verso una parete che faticò a trovare, doveva provare a tastare i muri che circondavano la stanza, restare lungo il perimetro e prima o poi avrei incontrato la finestra o la porta.
Più tastava la parete, più la stanza sembrava girare, infinita, chiusa, senza alcuna via d’uscita. Iniziò, a barcollare, la testa le girava e cadde a terra. Le voci si fecero più vicine, era un coro; sentì uno scatto, qualcuno stava aprendo la porta.
Erano dentro si avvicinavano a lei. Tenne gli occhi chiusi, serrati, non li voleva vedere, con le mani si coprì le orecchie e strinse, non voleva sentire. Ormai era la fine.
Si sentì sollevare da terra. Aprì gli occhi, non voleva farlo, ma lo fece d’istinto. La camera era illuminata da una luce bianca, le sembrava di riconoscerla, era la sua. Due persone le stavano accanto, ma non riusciva a riconoscerle. Davanti a lei stava uno specchio. Era lei quella? Non era lei!
Nel riflesso vide una vecchia con i capelli bianchi, del sangue le colava dalle tempie e le sue unghie sembravano insanguinate. Le persone che le stavano accanto parlavano, ma non capiva cosa dicevano.
“ È stata male di nuovo. Sta volta si è ferita, non possiamo più gestirla!”.
“ Tranquilla, domani chiamo. Là starà protetta”.
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