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La confessione di Dostoevskij: I Demoni va in scena

Per i duecento anni dalla nascita di Fëdor Michailovic Dostoevskij e in concomitanza con la settimana di Halloween, Venerdì 5 novembre, al deSidera Teatro Oscar di Milano, per la trilogia ” Tre porte sulla notte“, è andato in scena lo spettacolo: La confessione.

Il testo è una riscrittura tratta dal romanzo I Demoni di Fëdor Michailovic Dostoevskij, per la regia di Alberto Oliva, con l’interpretazione di Mino Manni.

Facendo una piccola premessa, precisiamo che lo spettacolo nasce in continuità con il progetto, prospettiva Dostoevskij, organizzato dalla compagnia Demoni

Prima di parlare dello spettacolo, che, per altro, resta abbastanza fedele al testo originale; analizziamo la poetica letteraria di Dostoevskij che lega I Demoni ai romanzi precedenti.

Dostoevskij ha pubblicato per la prima volta I Demoni fra il 1871 e il 1872, nella rivista letteraria e politica Russkij vestnik; l’intero romanzo è uscito nel 1873, una diecina di anni dopo i più famosi testi: Memorie dal Sottosuolo (1864) e Delitto e Castigo (1866).

Con Memorie dal Sottosuolo, l’autore russo ha iniziato a studiare i lati oscuri della psiche umana e gli istinti repressi, precedendo di alcuni anni gli studi della psicanalisi: secondo l’autore, l’animo umano è segnato dai conflitti fra l’istinto libero e sfrenato, privo di regole e l’opressione della vita esteriore.

Nel capitolo censurato Da Tichon, dei Demoni, Dostoevskij tratta, per la prima volta nella storia letteraria, il tema della pedofilia, attraverso il punto di vista del carnefice. La censura zarista vietò la pubblicazione del capitolo ed esso comparve nel romanzo, solo quarantuno anni dopo la morte dell’autore, nell’edizione del 1922.

Proprio da questo capitolo, in continuità con il viaggio negli oscuri meandri della sfera psichica umana che Dostoevskij aveva iniziato dieci anni prima, nasce lo spettacolo La confessione.

Il conflitto fra il sottosuolo e la superficie

screencapture-albertooliva-eu-pages-la-confessione-il-capitolo-censurato-dei-demoni-da-fedor-dostoevskij-2021-11-11-12_46_26 La confessione di Dostoevskij: I Demoni va in scena

“Io non sto tanto bene”. Così, dichiara Stavrogin, in apertura al monologo; la battuta, per chi conosce Dostoevskij, evoca immediatamente il protagonista di Memorie dal sottosuolo, quando nella prima parte ammette ” io sono un uomo malato”.

Il male in Dostoevskij non è un’allegoria “Io credo nel demonio come persona, e non come idea”, dice Stavrogin e continua: “Vedo un essere diabolico accanto a me. Ma sono sciocchezze, sono sempre io sotto vari aspetti”.

Nella logica dell’autore, il male fa parte della natura umana e se non viene controllato s’impossessa dell’uomo, spingendolo a commettere nefandezze e delitti. Stavrogin è pervaso da questo sentimento maligno; al punto da scegliere di non controllare la voluttà che lo domina, ma anzi, egli prova piacere nella consapevolezza di essere un vile. ” Io, quel sentimento lo potevo controllare e perfino arrestare, quando volevo. Ma non ho mai voluto farlo”, ammette.

Attraverso la confessione, il personaggio ricostruisce la sua vita abietta e nefanda, di uomo dissoluto e privo di scrupoli; ammette di essersi sempre compiaciuto dei propri crimini, anche se tradisce una certa sofferenza.

Nel carnefice si evince la stanchezza della rassegnazione a vivere nel sottosuolo degli istinti nefandi e il timore di essere giudicato da chi è al di sopra degli impulsi torbidi dell’animo umano. Se pensiamo a Memorie dal sottosuolo ricordiamo, nel protagonista, lo stesso sentimento contradditorio verso il giudizio degli altri, come accade a Stavrogin al momento in cui si confessa.

Nella prima parte di A proposito della neve fradicia, l’uomo del sottosuolo dice:

Non frequentavo nessuno ed evitavo perfino di parlare […] Al lavoro, nella cancelleria, cercavo persino di non badare a nessuno […] ma avevo sempre l’impressione che mi guardassero con un certo disgusto.

Così, Stavrogin dice:

Voi Pensate che io abbia paura di voi. Voi pensate che io vi sveli un segreto terribile. E lo attendete con tutta la vostra ottusa curiosità; ma io non vi svelerò nulla; perché non ho assolutamente bisogno di voi.

Da La confessione

Nei Demoni, dunque, ritroviamo lo stesso animo abietto e tormentato dell’uomo del sottosuolo, disceso negli abissi della propria psiche, per prendere coscienza delle parti più oscure del suo essere e accettarle, senza limiti.

Se mettiamo a confronto i due protagonisti di Memorie dal Sottosuolo e I Demoni, ci rendiamo conto che sono uno l’alter ego dell’altro: mentre l’uomo del sottosuolo rinuncia da subito alla vita in superficie per godere dei suoi impulsi immondi, Stavrogin vive la sua vita peccaminosa con lo stesso compiacimento, ma senza vergogna. Se l’uomo dal sottosuolo è condannato a vivere nell’abisso per un “eccesso di coscienza “, Stavrogin cancella ogni ombra di rimorso, dimenticando di aver commesso un reato; solo il suo atto più infimo provoca in lui il risveglio della coscienza e il bisogno di confessarsi: lo stupro di una bambina che poi si suicida.

La confessione nella letteratura di Dostoevskij

La confessione è un leitmotif nel percorso Dostoevskijano, che acquisisce il valore dell’espiazione dei propri peccati, ma non necessita dell’assoluzione : “Io ho bisogno che voi mi perdoniate, ma quelli là fuori è meglio che mi odino” dice Stavrogin.

Anche in questo caso, come nel caso di Delitto e castigo e, prima ancora, in Memorie dal Sottosuolo, Dostoevskij analizza il conflitto interiore scaturito dal riconoscimento della colpa.

L’uomo del sottosuolo sente il bisogno di confessare la sua viltà, attraverso le sue memorie; Raskòl’nikov cede alla confessione, tormentato dal peso della sua colpa; così Stavrogin ha bisogno di confessare il terribile crimine al vescovo Tichon. La confessione nei personaggi Dostoevskijani è vissuta come mezzo di liberazione dalla crisi di coscienza; una crisi che scaturisce dalla consapevolezza di essere e fare qualcosa che non è socialmente accettabile. Questo senso di disagio, secondo Jung, è la causa della nevrosi.

Dostoeskij, attraverso i suoi romanzi, affronta la sfera psichica e la differenza fra ciò che definisce “l’uomo autentico” e la maschera che circola in superficie.

È la società che genera il sentimento della colpa nell’uomo; ed è dal senso di colpa che scaturisce il malessere interiore e fisico di tutti i personaggi dostoevskijani.

“L’intimità libera e irrazionale è decisamente in urto con le leggi del mondo esterno”, così afferma Fausto Malcovati nella prefazione a Memorie dal Sottosuolo.

Il primo caso di pedofilia in un testo letterario

La confessione dello stupro verso Matrëša, una bambina dodicenne, figlia della padrona di casa di Stavrogin, è un racconto freddo e onesto; forse, proprio per questo, terribilmente brutale.

Pur esprimendo la drammaticità del crimine, il narratore non cerca giustificazioni e non si autocondanna per ciò che ha fatto. Questo tratto è forse, la parte più drammatica del testo, anche se, la freddezza del protagonista non elude il suo carattere tormentato e fragile.

Il testo dostoevskijano è una complessa ricostruzione dei terribili fatti, dove nella prima parte, fino al compimento della violenza, tutto viene raccontato senza tradire la coscienza del personaggio.

Nella seconda parte, invece, la confessione di Stavrogin racconta tutti i sentimenti che ha provato dopo aver commesso il crimine : dalla paura; all’esplosione di rabbia e odio verso la vittima; fino al senso di colpa crescente che lo spinge alla fuga da se stesso.

Stavrogin decide di rovinarsi la vita “irrimediabilmente”, sposando “l’ultimo degli esseri umani”, una donna che non ama e non stima: ; poi, scappa in giro per l’Europa, lasciandosi fagocitare completamente dalla depravazione e dalla corruzione.

È interessante notare la psicologia del carnefice al momento dello stupro: Stavrogin non è attratto sessualmente da Matrëša; la descrive come “una bambina bionda, lentiginosa, dal viso comune”; prova piacere nel vederla picchiare dalla madre, eppure la stupra.

Ciò che attira Stavrogin verso Matrëša è l’ingenuità infantile della bambina; la sua mitezza che la fa restare sempre muta di fronte ai maltrattamenti della madre. La perversione del personaggio è nel voler violare la purezza della piccola, nonostante la disprezzi proprio per la sua giovane età: “feci per alzarmi e andarmene, tanto la cosa mi era sgradevole in un essere cos piccolo!”, confessa, pensando al sorriso della bambina.

La bambina è inconsapevole di ciò che le sta accadendo e, inizialmente, bacia innocentemente Stavrogin; solo dopo l’accaduto, nel suo sguardo si manifesta il turbamento e la vergogna.

È lo sguardo rabbuiato e turbato di Matrëša a scatenare in Stavrogin la rabbia e l’odio verso la sua vittima. Stavrogin non sopporta la disperazione della bambina, perché in lei rivede il suo crimine, così, vuole eliminarla:

Cominciai a odiare a tal punto la bambina, che decisi di ucciderla.

Stavrogin non uccide Matrëša, ma la lascia morire, attende che la bambina si tolga la vita, sotto il peso della colpa per un crimine di cui lei era la vittima. Questo è l’episodio che determina la dannazione di Stavrogin, fino all’esplosione dell’insofferenza verso se stesso, come accade a Raskòl’nikov in Delitto e Castigo.

La Confessione, lo spettacolo

Il testo dello spettacolo La confessione resta fedele al capitolo di Dostoevskij nella trama e nella drammaticità dei fatti; la riscrittura degli autori, però, da vita ad un monologo asciutto; dove viene eliminata la figura del vescovo Tochin e, quindi, diminuisce la forza del ruolo religioso e l’idea del perdono cristiano, come forma di assoluzione e rifugio dal dolore.

Tutto si concentra nell’intimità del pensiero del carnefice che interloquisce con il pubblico, ma parlando di (e con) se stesso e amplificando, così, sulla scena, il suo tormento.

Il monologo descrive un uomo annientato dalla sua stessa depravazione, stanco dei suoi Demoni, costretto, forse per la prima volta, a fare i conti con la sua coscienza.

Prima dello stupro, Stavrogin poteva cancellare dai suoi ricordi i suoi “delitti”, ma il crimine che ha commesso verso Matrëša non può dimenticarlo e non può convivere con il peso della sua colpa.

Nel monologo si amplificano i dubbi e le fragilità del sottosuolo di Stavrogin. La spavalderia con cui ostenta fierezza per i crimini che ha commesso è sempre contrapposta alla rabbia e alla sensazione di sembrare ridicolo, perché fragile.

La compagnia I Demoni accentua in questo modo il pensiero dostoevskijano, secondo il quale l’uomo è prigioniero delle sue contraddizioni; è costretto a reprimere i suoi istinti perché se si lascia andare ai suoi impulsi più infimi, non può che soffrirne lui per primo.

Nel romanzo Stavrogin scappa, quando Tochin intuisce che in lui sta maturando l’idea del suicidio; nel monologo, invece, è proprio Stavrogin a prendere in considerazione l’idea di togliersi la vita, ma subito la rifiuta perché sa che in questo modo si priverebbe del dolore.

Il personaggio di Stavrogin è l’evoluzione più drammatica dell’uomo del sottosuolo: il compiacimento per la perversione dell animo, caratteristica principale di chi vive nel sottosuolo, sfocia, nel personaggio dei Demoni, nella decisione di vivere per sempre nel dolore, come forma di autoflagellazione eterna.


Spettacolo LA CONFESSIONE  

dal capitolo censurato de I demoni di F. Dostoevskij 

con Mino Manni

regia Alberto Oliva


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